Stati Uniti d’Europa, unica prospettiva

mcarmagnola 25 settembre 2012 0

Quasi settantanni di pace e di progresso in un continente che ha conosciuto le guerre di religione, le campagne di Napoleone e, tragico, cruentissimo epilogo, i due conflitti mondiali del Novecento costituiscono già una buona ragione per considerare l’unità europea un’acquisizione fondamentale.

Una buona ragione che ha determinato l’assegnazione del premio Nobel per la pace all’Unione Europea.

Meritato.

Esso rappresenta, innanzitutto, un riconoscimento all’azione positiva e civilizzatrice promossa con tenacia dal Vecchio Continente.

Ma assume anche i connotati di un premio di consolazione nei confronti di un’area in profonda crisi economica, istituzionale ed identitaria.

L’Europa o, meglio, la somma degli Stati che la compongono sta male, all’interno di un mondo che non sta bene.

Quelli che appaiono ancor oggi i giganti, Germania in testa, presto diventeranno protagonisti di mezza levatura sulla scena mondiale, quando due o tre miliardi di uomini, a breve, si lasceranno alle spalle il recinto che delimita la poverta’ per varcare la soglia del protagonismo.

Non resta altro da fare che aggiungere un altro tassello alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa.

Schumann, nella deliberazione fortemente evocativa del 9 maggio 1950, che dava avvio al primo nucleo comunitario – la condivisione del carbone e dell’acciaio – affermava che “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.”

E’ giunto il momento di aggiungere non tanto un’ulteriore tessera al mosaico delle istituzioni comunitarie, quanto di dare ulteriore slancio al processo di integrazione e di coesione continentale.

Ha ragione Jacques Attali quando propone di ripartire dai diciassette dell’Eurozona che, mettendo in comune la moneta, si sono maggiormente esposti sul terreno delle scelte quotidiana concrete e condivise.

In realtà, anche in questo caso, il vero nodo è quello della Gran Bretagna, perchè gli altri rimasti fuori – in buona sostanza i Paesi dell’Est ex sovietico – sono tali più per necessità che per scelta e si pronostica, in un futuro meno turbolento, un loro ingresso nell’area della divisa unica.

Ma hanno ancora più ragione quanti, soprattutto all’interno del Parlamento Europeo e dei movimenti impegnati nella costruzione dell’unità continentale, puntano decisamente alla revisione del Trattato di Lisbona, considerabile pur sempre una tappa importante nella costruzione dell’edificio comunitario.

In particolare occorre superare il deficit democratico delle istituzioni europee.

La Commissione ed il suo Presidente debbono essere scelti dal popolo del Vecchio Continente e non risultare il mero punto di equilibrio tra governi ed oligarchie parlamentari.

Questo potrà favorire un’effettiva unità fiscale ed economica, agevolata e supportata da un significativo ampliamento del bilancio comunitario.

Resta, poi, il sogno.

Poter assistere ad un talk show, lungo un’intera nottata, nel corso del quale dall’Atlantico agli Urali giungono i risultati dell’elezione diretta del Presidente europeo.

Forse non l’uomo più potente del mondo, ma, certo, il più importante.

 

 

 

 

 

 

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